La danza del ventre come danza della Grande Madre

A una donna che si avvicini per la prima volta alla danza orientale capita spesso di fare un’esperienza forte, un incontro particolare che sembra risvegliare in lei qualcosa di antico.
Per quanto nuovi possano essere i movimenti e i gesti propri della danza del ventre, infatti, la donna vi ritrova qualcosa che le pare di riconoscere, da un’esperienza antica, quasi ancestrale, come fosse una memoria involontaria che viene da lontano.
In questa percezione c’è qualcosa di vero: i movimenti ondulatori e circolari del bacino, così come i movimenti ritmici, gli scatti e le vibrazioni, appartengono da sempre a un repertorio di ritualità femminile, che probabilmente faceva parte delle antiche danze dedicate alla Grande Madre, la dea primigenia delle civiltà mediterranee.
In base alle nostre conoscenze, non possiamo sapere con certezza se questi riti, dedicati a una Madre Terra prosperosa e potentissima, che dà la vita e la toglie, siano sorti in epoca preistorica e che forme precise abbiano assunto nel corso dei secoli e dei millenni.



Certo è che le raffigurazioni preistoriche della Grande Madre rappresentano tutte una donna dai fianchi pronunciati e dal seno prosperoso: e quasi per magia, bacino e busto sono proprio il centro dell’attenzione nella danza del ventre, sottolineati con cinte decorate e reggiseni carichi di frange e monetine

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la Venere di Willendorf

Nella Mesopotamia antica questa divinità era Ishtar, la dea dell’amore e della guerra, che scendeva agli Inferi per poi rinascere e donare la vita agli uomini. Già leggendo questa breve descrizione non può non venire in mente la storia di Demetra e Persefone, dee del Pantheon greco e poi romano che ereditano queste caratteristiche, mentre l’amore e la guerra vengono assegnate ad altre divinità femminili. È come se, con il passare dei secoli, le molte caratteristiche e i grandi poteri della Grande Madre mediterranea venissero disseminati in varie divinità differenti, come se fosse “troppo”, troppo pericoloso o spaventoso, concentrarli tutti in un’unica, grande dea…



Ad ogni modo: in onore di Ishtar si tenevano celebrazioni che coinvolgevano l’intera popolazione, e di certo questa grande festa comprendeva canti e danze, eseguite in particolare dalle sacerdotesse della dea.
La figura della Grande Madre si ritrova in tutte le culture del Mediterraneo antico, compresa quella dell’Arabia preislamica. Qui la Grande Dea si chiamava Al-Uzza ed era connessa con l’astro di Venere. Nel Corano si trovano dei riferimenti alle tre divinità preislamiche (Lat, Uzza e Muna): il profeta Maometto, in un primo momento, pensò di poterle integrare alla religione monoteistica che gli era stata rivelata, ma subito cambiò posizione e il culto delle dee lasciò il posto al culto di Allah.
Almeno ufficialmente…

Con l’espansione dell’Islam, a partire dall’VIII secolo d.C., la cultura islamica si diffuse per tutto il Mediterraneo e fino all’altopiano Iranico. Quando, con la dinastia degli Abbasidi, il centro del potere si stabilì in Iraq, iniziò un periodo di forte sincretismo tra la cultura arabo-islamica e le culture che avevano dominato in Mesopotamia nei secoli precedenti.
Ed ecco che l’antica ritualità nascosta nel culto della Grande Madre riaffiorò, andando a innestarsi su una cultura musicale che si andava definendo in modo sincretico: da quella particolare unione è possibile che si sia generato qualcosa di simile alla danza del ventre. Questo tipo di danza nelle corti era praticata da donne erudite ma non entrò mai a far parte a pieno titolo della cultura islamica ed è sopravvissuta sempre ai margini di questa, non accettata ma nemmeno rifiutata completamente. Diciamo, in qualche modo, tollerata.



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