I ritmi della musica araba nella danza del ventre
Come ogni altra forma di danza, anche la danza orientale non può prescindere dalla musica.
Ma la danza del ventre ha un rapporto particolare e privilegiato con il ritmo, con le percussioni: dal ritmo deriva un temperamento particolare, che ispira la danza e genera dei passi, dei movimenti specifici, talvolta addirittura uno stile ben definito.
Per questo è fondamentale imparare a distinguere i ritmi più comuni nella musica araba per danza: solo così la danzatrice potrà individuare immediatamente il mood che quel ritmo ben definito ispira, e seguire con il corpo i suggerimenti della musica. Questo lavoro è importantissimo in particolar modo quando si lavora di improvvisazione, con la musica dal vivo, e la danzatrice segue il musicista nelle sue variazioni estemporanee, che si riferiscono però sempre a un pattern prestabilito: quello del ritmo, appunto.
I ritmi più diffusi nella musica araba per danza sono fondamentalmente ritmi pari, che cioè si sviluppano in 2/4 o in 4/4; naturalmente esistono anche ritmi dispari o più complessi, ma non sono tra i più comuni.
Nella musica che accompagna la danza del ventre si inseriscono molti ritmi che hanno origine dal folclore, come il saidi, il fellahi, il baladi, il malfouf, ma anche ritmi derivati dalla tradizione della musica colta, come il wahda e il samai, o altri derivati addirittura dalle danze rituali, come l’ayoub o zar.
Per imparare a distinguere i diversi ritmi è indispensabile riconoscere i suoni base prodotti dalla darbuka, il tamburo a calice che è alla base delle percussioni arabe.
Benché un percussionista esperto sia in grado di produrre tutta una varietà di suoni, i colpi fondamentali della darbuka sono:
– il dom o doum, un suono dalla frequenza bassa che si produce colpendo con la mano destra (o la sinistra per i mancini) aperta il centro della superficie in pelle dello strumento;
– il tak, un suono alto che si ottiene colpendo con il dito medio e l’anulare della mano principale la porzione di pelle vicina al bordo dello strumento;
– il ka, suono identico al tak ma prodotto con la mano secondaria;
– il sak, un suono dalla frequenza alta detto anche slap, “schiaffo”, perché il modo in cui la mano principale colpisce il centro della superficie in pelle ricorda, appunto, uno schiaffo.
Se a questi suoni principali aggiungiamo la pausa (es) otterremo l’alfabeto necessario a costruire tutte le nostre “parole”, cioè le battute, che a loro volta saranno le cellule base delle nostre “frasi”, i ritmi, appunto.
Per quanto riguarda la danza, già ascoltando i suoni base si trova un’ispirazione per dei movimenti: al dom, ad esempio, suono “pesante”, verrà spontaneo far corrispondere un movimento “forte”, marcato, come uno scatto del bacino ad esempio, che consenta di mantenere i piedi ben ancorati a terra, senza salire sulle mezze punte. Il sak, un suono secco, quasi strappato, può sottolineare movimenti rapidi, incisivi, mentre sui tak, ma soprattutto sui ka, più delicati, ci si può muovere sulle mezze punte, oppure si può scegliere di abbinare scatti più delicati con il busto, e così via.
La pausa, infine, può essere interpretata dalla danzatrice come un vero e proprio stop, oppure può essere “riempita” con dei movimenti.