La storia del velo nella danza orientale
Per ogni danzatrice del ventre il velo è un compagno irrinunciabile, un elemento fondamentale della propria danza, una grande possibilità espressiva. Eppure, non è sempre stato così.
Il velo entra nella danza orientale solo a un certo punto, o meglio: ci sono vari elementi che richiamano il velo nelle danze folcloriche del Nord Africa e del Medio Oriente, dallo scialle al foulard ai fazzoletti, ma poi tutto questo rientra nella danza del ventre sotto forma di velo solo all’inizio del Novecento.
L’origine del velo nelle culture antiche va visto come elemento rituale, legato alla nascita e alla morte, alla rigenerazione: erano velate le divinità, e quindi anche le sacerdotesse; d’altro canto, il velo segna ancora oggi i momenti rituali della vita, dal velo della sposa al sudario con cui si ricoprono i corpi dopo la morte.
Nelle religioni antiche, il velo era caratteristica delle divinità femminili che dovevano scendere nel regno dell’aldilà: Demetra per i Greci e i Romani, o Ishtar per i Babilonesi. Ishtar, in particolare, nel suo viaggio ultraterreno deve attraversare sette porte, e a ogni porta deve spogliarsi di un velo…
La parola stessa, velo, viene dal latino velum, tenda, perché indicava in origine una tenda che, all’interno del tempio, separava la zona sacra riservata al sacerdote da quella pubblica, dedicata al culto.
Il 1893 è un anno cruciale per la storia del velo nella danza orientale dei nostri giorni: in quell’anno viene pubblicata la Salomè di Oscar Wilde, in cui c’è una scena con la danza dei sette veli, e si tiene a Chicago l’Esposizione Universale in cui si esibisce per la prima volta Little Egypt. Furono due le danzatrici che si contesero il nome di Little Egypt, ma a noi resta la foto di una sola, Fatima, che tiene stretto tra le dita, in alto, dietro di sé un velo trasparente.
Benché Oscar Wilde non dia alcun tipo di indicazione, ma scriva unicamente “Salomè esegue la danza dei sette veli”, intorno a questa danza si scatenarono scandali e si accese la fantasia degli occidentali, ma si determinò anche, per la prima volta, il passaggio della danza orientale su un palcoscenico.
Al 1905 risale la trasposizione in musica della Salomè ad opera di Richard Strauss e da lì in poi la danza dei sette veli diviene una sfida per diverse danzatrici: perché di solito le cantanti liriche si rifiutavano di danzare, per un fatto di convenienza, oppure, a volte, non avevano il physique du rôle.
L’interpretazione di Salomè e, più in generale, la danza con il velo diventa anche una sfida per diverse danzatrici e artiste dei primi del secolo, da Mata Hari a Teda Bara, da Maud Allan a Loïe Fuller, che con la sua danza serpentina ispirò una rivoluzione nell’uso delle luci di scena e della scenografia stessa, per non dire della nascita del cinema a colori.
Ma l’ingresso definitivo del velo nella danza del ventre egiziana risale agli anni Quaranta del Novecento ed è opera di Samia Gamal: la sua insegnante russa, Anna Ivanova, le insegnò l’uso del velo nelle entrate in scena e alcune figure con le braccia, ispirate alle danze popolari del Caucaso.