La danza del ventre e la Dea Inanna (seconda parte)
Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della divinità sumera Inanna, la dea dell’amore, della fertilità e della bellezza, che appartiene a quella cultura in cui ha mosso i suoi primi passi una danza sacra che, insieme a tante altre componenti, ha lasciato la sua traccia nella danza del ventre.
Inanna non fu mai dominata da nessun uomo, né legata o assoggettata ad un marito. Questo è un argomento molto complesso da trattare nell’era moderna, ma secondo alcune argute interpretazioni della verginità (vedi “Le Vergini Arcaiche” di Leda Bearnè), in un tempo dove il pudore e le restrizioni sessuali non esistevano, erano considerate “vergini” quelle donne che vivevano in perfetta indipendenza e armonia sessuale, senza essere accompagnate o guidate da un uomo. Per questo vi sono molte incongruenze di alcuni antichi testi che riportano le Baccanti e le Vestali come “vergini” quando si pensa che fossero invece dedite alla”prostituzione sacra”.
Intendendo quindi il termine “verginità” come espressione libera della sensualità-sessualità senza pudore, con magia, follia e coralità, cosa ci può essere al giorno d’oggi di più “vergine” della danza orientale? Per questo possiamo considerarla come la danza che tutte le Dee hanno praticato con i loro ventri sacri per celebrare coralmente l’essere donna.
Quanto ad Inanna, la mitologia ci racconta come, spinta dalla curiosità di guardare in faccia il suo lato ombra, la Dea discese negli inferi, regno della sorella Ereshkigal, ma venne fermata dal custode Neti, che la mise in guardia sulla presenza di 7 cancelli da oltrepassare. Ad ogni cancello la Dea dovette privarsi dei suoi ornamenti e vestiti finchè arrivò davanti alla Regina degli Inferi completamente nuda.
Come non pensare alla danza dei sette veli di Salomè, dove la principessa di Giudea si spoglia uno per uno dei suoi veli, per arrivare davanti ad Erode vestita solo della sua forza?
Ma il lato ombra di Inanna, sua sorella, la costringe a prendere atto di ogni parte buia nascosta in se stessa, e Inanna viene appesa ad un gancio per morire lentamente dissanguata.
Questo macabro aneddoto ci porta a capire come Inanna abbia prima dovuto rinunciare a tutte le difese (i veli e i gioielli lasciati) per poi confrontarsi col dolore e col suo lato oscuro, per apprendere infine la conoscenza del sé. Nel finale del mito, la dea viene salvata dalla stessa Ereshkigal, che scopre, dopo averla liberata, di essere incinta (il lato ombra riconosce che, attraverso il dolore e il sangue, si è data luce e vita).
Il sangue di Inanna, sgorgato nella terra degli inferi, ha fecondato il ventre sterile della Dea dell’Ombra, il rito della danza dei sette veli è stato compiuto.
Ogni buona danzatrice del ventre dovrebbe prendere esempio da questa Antica Madre. Conoscere e riconoscere il suo lato ombra, i suoi difetti, spogliarsi di lutti i lustrini per non nascondere l’essenza del movimento con un magnifico abito, lasciar scorrere il proprio sangue, inteso come energia, fuori dal corpo e dall’anima, per permettere che questo possa creare magia, creatività, condivisione, bellezza con chi ci sta intorno mentre danziamo.
Scritto da Marika Suhayma